La Corte di cassazione (Sez. I), con la sentenza n. 11504/2017 ha modificato il proprio orientamento in tema di assegno di divorzio, che era immutato dal 1990. A seguito di tale sentenza, l’assegno non sarà più parametrato al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio, ma dovrà semplicemente garantire l’indipendenza economica dell’ex coniuge.
Paradossalmente la Cassazione, nel compiere tale “rivoluzione giurisprudenziale”, muove da elementi normativi ben consolidati. Essa, infatti, con un’interpretazione perfettamente letterale, specifica il significato dell’art. 5, comma 6, L. 898/1970, ribadendo che l’esame per la concessione dell’assegno di divorzio deve svilupparsi in due fasi, da tenere ben distinte: 1) una prima fase dell’eventuale riconoscimento del diritto (fase dell’an debeatur) e 2) una seconda fase di determinazione dell’importo (fase del quantum debeatur).
Con riferimento alla prima fase, gli unici elementi da prendere in considerazione saranno esclusivamente il fatto che il coniuge richiedente l’assegno sia, o meno, dotato di “mezzi propri” o sia, o meno, in una condizione di impossibilità “di procurarseli per ragioni oggettive”. Solo a seguito di tale valutazione, si dovrà determinare il quantum dell’assegno, secondo i criteri indicati nel comma 6 dell’art. 5.
La questione sta ora nell’individuare il parametro a cui rapportare i predetti elementi della disponibilità o meno di mezzi propri e della possibilità o meno di procurarseli.
Se, fino ad oggi, il parametro era quello del tenore di vita mantenuto in costanza di matrimonio, con la sentenza in commento il giudice di legittimità lo individua, invece, nell’“indipendenza economica“ del coniuge richiedente l’assegno, evidenziando così la doverosità e la funzione esclusivamente assistenziale dell’assegno divorzile, che trova fondamento negli artt. 2 e 23 Cost.
Il Supremo Collegio rinviene il parametro dell’indipendenza economica, anzitutto, tramite un’analogia iuris con l’art. 337-septies, comma 1, c.c, secondo cui al figlio maggiorenne l’assegno spetta solo se non indipendente economicamente.
La Corte cita, inoltre, il fondamentale principio dell’“autoresponsabilità“ dei coniugi poiché il divorzio, così come la separazione personale, è una libera scelta dell’individuo con cui lo stesso sviluppa ed eleva la propria personalità e non può certo costituire un mezzo per un futuro arricchimento personale. Tale principio di autoresponsabilità – nota la Corte – è comune al contesto giuridico europeo, dove è anzi rafforzato dalla diffusione, soprattutto nella Gran Bretagna di common law, dei cd. “patti prematrimoniali”.
Il Collegio, dunque, individua i principali “indici” in base a cui valutare l’”’indipendenza economica”:
1) il possesso di redditi di qualsiasi specie; 2) il possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari, tenuto conto di tutti gli oneri lato sensu “imposti” e del costo della vita nel luogo di residenza della persona che richiede l’assegno; 3) le capacità e le possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo; 4) la stabile disponibilità di una casa di abitazione.
L’aspetto più interessante di questa sentenza riguarda, però, i possibili (e probabili) futuri ricorsi che diversi ex coniugi (di entrambi i sessi) presenteranno per vedersi ridotto l’importo dell’assegno di divorzio, in conformità al dictum della Cassazione. A tal riguardo, occorre però tener presente che, nel caso di specie, la Corte non ha pronunciato a Sezioni Unite, ma ha semplicemente corretto la motivazione della precedente Corte d’Appello di Milano, ex art. 384 c.p.c., e che, certamente, vi saranno giudici che si discosteranno da tale nuovo principio di diritto.